Per un nuovo manifesto anarchico contro la guerra

In questi mesi in cui il dramma della guerra è sempre più portato all’attenzione internazionale dalla crisi in Ucraina, ritorna prepotentemente di attualità il tema dell’antimilitarismo anarchico. Vediamo che da alcuni singoli e gruppi che si dichiarano antiautoritari, libertari o anarchici giunge già da prima dell’invasione russa dell’Ucraina una forte critica al nostro tradizionale antimilitarismo. Abbiamo letto attentamente tali posizioni in questi mesi, riteniamo oggi di dover chiarire il nostro punto di vista.

Il nostro pensiero va dapprima alle nostre compagne e ai nostri compagni che più di un secolo fa, di fronte al dramma della Prima Guerra Mondiale, sentirono la necessità di affermare che: “Dobbiamo dichiarare ai soldati di tutti i Paesi, che credono di stare combattendo per libertà e giustizia, che il loro eroismo e il loro valore non serviranno che a perpetuare l’odio, la tirannia e la miseria” (International Anarchist Manifesto against the War, 1915). Come Goldman, Berkman, Malatesta, Schapiro e gli altri, crediamo alla necessità che la voce internazionalista e solidarista dell’anarchismo e dei suoi principi di sorellanza e fratellanza universale torni a parlare a tutte e a tutti, a maggior ragione in un mondo sempre più frammentato in odi nazionali, etnici e identitari.
La guerra è all’origine dell’ordinamento attuale della società, fondato su rapporti di dominio, sfruttamento e oppressione. Questo è un punto fermo per la FAI, presente nel Programma Anarchico che è il riferimento teorico della nostra Federazione: “Non comprendendo i vantaggi che potevano venire a tutti dalla cooperazione e dalla solidarietà, vedendo in ogni altra persona un concorrente ed un nemico, una parte dell’umanità ha cercato di accaparrare, a danno dell’altra, la più grande quantità di godimenti possibili. Data la lotta, naturalmente i più forti, o i più fortunati, dovevano vincere ed in vario modo sottoporre ed opprimere i vinti.”

Per questo manteniamo ferma la nostra posizione di rifiuto della guerra e ci riconosciamo nell’idea di disfattismo rivoluzionario. Intendiamo per disfattismo una posizione rivoluzionaria di fronte alla guerra, quella di coloro che lottano per la disfatta del governo e della classe dominante del proprio Paese, credendo che le guerre sono combattute per gli interessi e i privilegi degli oppressori e degli sfruttatori. All’inizio del XX secolo, e in particolare durante la Prima Guerra Mondiale, alcuni governi europei hanno usato l’accusa di “disfattismo” contro ogni forma di dissenso, di opposizione alla guerra, di protesta politica o lotta operaia, che rompesse l’unità nazionale di fronte al nemico. Il disfattismo quindi non accetta la tregua delle lotte sociali imposta dai governi in tempi di guerra attraverso la censura, la repressione e la legge marziale. Al contrario, prosegue la lotta contro il governo nelle particolari condizioni della guerra, sia attraverso il sabotaggio della guerra, sia attraverso l’incoraggiamento delle lotte sociali. La posizione del disfattismo si colloca all’interno di una prospettiva internazionalista e rivoluzionaria con lo scopo di provocare la sconfitta dell’imperialismo del “proprio” Paese, e uno dei suoi punti fondamentali è il rifiuto di sostenere una parte belligerante in guerre tra Stati e/o blocchi imperiali.

Attualmente si stanno combattendo decine di guerre, con il loro carico di morti, distruzione, stupri, saccheggi ed esodi di massa. Negli ultimi quindici anni la crisi del sistema di egemonia mondiale fondato sulla globalizzazione ha prodotto una tendenza mondiale all’autoritarismo e alla militarizzazione. La globalizzazione come forma di dominio mondiale ha per lungo tempo assicurato all’imperialismo angloamericano un ruolo privilegiato nello sfruttamento delle risorse del pianeta, con l’appoggio delle classi privilegiate dei vari Paesi. L’entrata della Russia e della Cina nel Fondo Monetario Internazionale e nell’Organizzazione Mondiale del Commercio hanno dimostrato che i contrasti fra le potenze non mettono in discussione la divisione della società in classi e in diverse gerarchie.

Al Congresso FAI di Empoli a giugno 2022 abbiamo condiviso una sintesi riguardo alla lettura della guerra in Ucraina, di cui qui riportiamo una piccola parte: “Negli ultimi dieci anni l’intensificazione delle tensioni tra gli Stati, la guerra commerciale e finanziaria, il progressivo isolamento più o meno parziale dei mercati, l’estensione dei conflitti in parte per procura, ma sempre più in forma diretta, tra le potenze mondiali e regionali in diverse regioni del mondo, hanno definito uno scenario molto diverso. Il modello capitalista imposto nel secolo scorso dall’egemonia statunitense è ancora l’orizzonte entro il quale si realizza la contesa tra gli stati, ma il mondo non è più dominato da un’unica superpotenza. Gli Stati Uniti hanno perso la guerra in Afganistan, in Iraq e in Siria, e rispetto a pochi decenni fa vedono molto ristretta la propria influenza nell’America Centrale e del Sud, in quello che erano abituati a considerare il giardino di casa. L’accordo AUKUS tra Australia, UK e USA, che ha riorientato verso il Pacifico con un’alleanza separata la strategia di questi stati, sembrava mettere in discussione la presenza statunitense in Europa e la stessa coesione se non l’esistenza della NATO. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia si inserisce quindi in un processo di ridefinizione degli equilibri tra le potenze a livello globale.

La crisi dell’egemonia è strettamente legata alla crisi dei sistemi di governo e coesione sociale, perché con il taglio delle garanzie sociali e la debolezza dei meccanismi di consenso, con l’insorgere in molti paesi di movimenti che con forme e caratteri diversi mettono in discussione i governi e gli accordi tra le classi dominanti, l’uso della forza diviene strumento principale per la conservazione del potere e dell’ordinamento sociale. In questo senso abbiamo parlato negli ultimi anni di un crescente ruolo del militare nelle società. La rivolta in Bielorussia del 2020 e l’insurrezione in Kazakistan a gennaio 2022, hanno reso evidente la grave crisi di consenso interna al sistema a guida russa. Nella tenuta dell’OTSC l’esercito ha assunto un ruolo fondamentale. L’intervento militare russo in Kazakistan per stroncare nel sangue l’insurrezione popolare ne ha dato una tragica dimostrazione, e ha aperto la strada all’invasione dell’Ucraina a febbraio. Anche negli USA le rivolte contro la polizia, contro la violenza razzista del 2020 hanno portato a inizio 2021 i vertici delle forze armate a sostenere in un clima da preludio di guerra civile l’insediamento di Biden alla presidenza, per evitare che il suprematismo violento di Trump esasperasse irrimediabilmente la crisi di consenso.”

La risposta alla crisi è l’aumento delle spese militari e il rafforzamento del ruolo delle forze armate nelle scelte politiche. Saltati i meccanismi di regolamentazione economica e politica, che stabilivano la gerarchia fra le potenze e il flusso dei profitti verso le metropoli imperialiste, è necessario ricorrere alla guerra per ristabilire il vecchio equilibrio o definirne uno nuovo.
Nell’ambito di questo nuovo disordine mondiale cresce il ricorso alla guerra e alle missioni militari, comunque i governi vogliano definirle nella propria propaganda.

Dall’Ucraina allo Yemen, dai paesi del Sahel al Myanmar, dall’Afganistan al Tigrai e altrove, passando per tutte le regioni in cui genocidi come quello curdo e quelli delle popolazioni indigene e afro-discendenti sono in corso, siamo tutte e tutti potenzialmente sotto le bombe e la minaccia di distruzione, repressione e svolta autoritaria. Sappiamo bene che le porte girevoli tra le cosiddette democrazie e le cosiddette autocrazie possono muoversi molto rapidamente, e che lo stato di guerra riduce rapidamente gli spazi a chi voglia agire per la trasformazione sociale. Diamo sempre la nostra solidarietà umana a chi soffre e rischia la vita trovandosi in situazioni difficili, anche se ha idee e pratiche distanti da quelle che esprimiamo.

L’anarchismo sociale rompe le attuali logiche imperiali, capitaliste, nazionaliste e autoritarie, respinge le divisioni imposte dai confini, e il concetto dell’integrità o della “difesa” territoriale di uno Stato o di una qualunque entità che aspira ad esserlo non ci appartiene perché, associato al principio della sovranità territoriale, finisce inevitabilmente per legarsi a prospettive nazionaliste o micro-nazionaliste. Qualsiasi cosa voglia dire la parola “nazione”, essa nasconde la divisione tra sfruttat* e sfruttatori, tra oppress* e oppressori.

Ribadiamo la nostra condanna irrevocabile e senza ambiguità del regime putiniano e della sua criminale invasione dell’Ucraina, nonché della sua feroce repressione del dissenso interno. Ma condanniamo anche il criminale ruolo di tutti i governi che soffiano sul fuoco di questo e altri conflitti fornendo armi e guadagnando sulle forniture. Ci opponiamo nella maniera più decisa alla NATO che da anni cerca di imporre la militarizzazione della vita sociale e l’aumento delle spese militari nei paesi membri, e che grazie a Putin si è rilanciata dopo la fine ingloriosa dell’aggressione all’Afghanistan. Nello stesso modo rifiutiamo la narrazione di una guerra fra libertà e dittatura. Da questo punto di vista, l’Ucraina di Zelensky è veramente una piccola Russia, con un governo autoritario, una cerchia di oligarchi che saccheggia il paese, una repressione verso tutte le forme di protesta e verso le minoranze che la guerra ha reso più dura. Oggi Zelensky, pur di rimanere al potere, indebita e vende a pezzi il proprio Paese agli Usa, al Regno Unito, all’Unione Europea in cambio del loro appoggio militare. La penetrazione di interessi occidentali in Ucraina non è tuttavia esclusivamente legata all’invasione russa scattata il 24 febbraio: multinazionali dell’agroalimentare, molte statunitensi e una russa, controllano parte del granaio d’Europa e il principale scalo commerciale nel porto di Odessa da oltre 10 anni.

Le conseguenze di questa guerra sono drammatiche su entrambi i lati del fronte. Conseguenze disastrose anche per il resto d’Europa con l’aumento dei prezzi a causa della speculazione, l’aumento della militarizzazione, il riarmo, il peggioramento delle condizioni di vita di milioni di proletari, la paura e la violenza, che rischiano di diventare pericolosi strumenti per governi autoritari. Una realtà che torna ad essere percepita anche in Europa, ma che è ben presente in gran parte delle regioni del mondo, accompagnata dalla devastazione ambientale perpetrata dalla logica del profitto, dei mercati e degli Stati, che minaccia la vita stessa del pianeta dove viviamo.

Il primo impegno di chi si oppone alla guerra è la costruzione e diffusione di pratiche di mutuo appoggio come reti di solidarietà dal basso per sostenere le necessità immediate delle persone che più soffrono le conseguenze del conflitto, col sostegno alimentare o quello medico. Come reti di sostegno a chi pratica azioni di sciopero, di sabotaggio, di diserzione, come reti transnazionali per chi dovesse nascondersi o fuggire da e su entrambi i lati del fronte. Rifiutiamo e lottiamo per decostruire i modelli patriarcali e di dominio imposti dal militarismo riproposti all’infinito dalla propaganda bellica sui social media e sui media ufficiali, dove al centro sono sempre le stesse immagini del combattente maschio, robusto e giovane.

Da varie parti si suggerisce di prendere posizione combattendo di fatto per uno dei governi che si scontrano in questa guerra, come se schierarsi per l’uno o per l’altro fosse ineluttabile.

Alcuni relitti del marxismo pensano di poter sostenere imperialismi minori per sconfiggere la minaccia prevalente che reputano essere quella “occidentale”. Ma la strategia di giocare fra le potenze imperialiste in modo da aggravarne le contraddizioni, così come l’alleanza fra il movimento operaio e le forze nazionaliste, che ha caratterizzato lo stalinismo fra le due guerre mondiali e anche dopo, hanno condotto al fallimento di ogni prospettiva rivoluzionaria e alla chiusura di ogni margine di azione autonoma alle classi sfruttate e oppresse.

Altre interpretazioni si muovono in base ad approcci diversi, e valutano l’imperialismo russo come un pericolo per l’intera Europa e non solo, e in queste interpretazioni si trovano anche componenti di orientamento libertario. Senza mettere in discussione la minaccia costituita dall’autoritarismo e dal militarismo della Russia riteniamo che non sarà una sconfitta militare della Russia in Ucraina a evitare una stretta autoritaria nell’Europa occidentale. I processi sociali autoritari che risultano evidentemente dominanti in Russia e nei paesi dell’OTSC, sono in moto da anni anche nell’Unione Europea, e la guerra sta oggi imprimendo a questi una ulteriore accelerazione. Inoltre la “democrazia” si basa su una condizione di privilegio. La visione che presenta l’Unione Europea come faro della democrazia individuando invece nella Russia, nella Cina e nei loro satelliti gli eredi di un totalitarismo congiunto ad un capitalismo senza scrupoli appare come la quintessenza di un occidentalismo che non ci appartiene.

Queste sono le nostre posizioni, conferma dell’antimilitarismo in una prospettiva internazionalista e rivoluzionaria, concretamente radicata nelle lotte sociali, nelle reti di solidarietà, per creare vie d’uscita collettive e libertarie al vortice di guerra in cui ci gettano gli Stati e il capitalismo mondiale. Questo è il nostro contributo al dibattito internazionale contro la guerra. Pensiamo che una cosa deve essere chiara su tutte: la lotta, con o senza armi, per essere efficace deve essere fatta e organizzata dal basso, al di fuori degli apparati degli Stati, dei governi, e, soprattutto, delle forze armate.

Gli stessi governi belligeranti o cobelligeranti sono coscienti che la guerra porterà con sé, oltre alle stragi e alle devastazioni nelle zone direttamente interessate, miseria, disoccupazione e fame nel resto del mondo, anche in Europa, anche negli Stati Uniti. I governi sono coscienti che stanno maturando le condizioni per una crisi sociale senza precedenti, per questo suonano la grancassa del militarismo e del nazionalismo, per impedire la solidarietà delle classi sfruttate e oppresse.

Poiché i governi sono i promotori e i beneficiari delle guerre, per fermare le guerre bisogna far paura ai governi, perché l’unico limite all’arbitrio di ogni governo è la paura che i movimenti popolari riescono a incutergli. L’opposizione alla guerra fa parte del nostro impegno quotidiano a partire dalla denuncia e dal boicottaggio delle produzioni di morte, e dalla critica e decostruzione della retorica militarista a partire dall’educazione e dal linguaggio militarista a tutti i livelli. Bisogna combattere la guerra e gli eserciti con una strategia intersezionale che sappia identificare e contrastare le connessioni tra il militarismo e altre forme di oppressione quali il patriarcato, il razzismo, il capitalismo e ogni forma di sciovinismo, con l’azione collettiva come nelle relazioni personali.

Solo l’azione delle classi sfruttate può fermare la guerra boicottando le produzioni belliche, rifiutando la produzione, il traffico e il trasporto di armi e di ogni strumento di morte, e partecipando ai movimenti di opposizione alle installazioni e basi militari, e promuovendo scioperi a livello nazionale e internazionale contro la guerra e l’economia di guerra. Il movimento anarchico è partecipe di questa lotta, in modo diversificato a seconda delle circostanze, con la critica delle ideologie militariste e nazionaliste, con la costruzione di organismi e reti autogestite, con la pratica dell’azione diretta, con il sostegno a tutte le forme di rifiuto, diserzione e obiezione dei massacri promossi dal capitale e dallo Stato.

Siamo convinte e convinti più che mai della validità del principio anarchico per cui i mezzi devono essere coerenti con il fine. Non ci sono guerre buone né guerre giuste, e in tempi di crescente follia nazionalista e sovranista riteniamo che non dobbiamo mai schierarci in alcuna maniera con i governi né prendere parte in guerre tra stati e blocchi imperiali. Non si muore e tanto meno si uccide per la sovranità territoriale. Le guerre sono tutte criminali e gli eserciti (inclusi i loro corpi ausiliari) sono tutti strumenti dello sfruttamento, del patriarcato e della più o meno “legittima” dominazione statale sul territorio e sui corpi degli individui. Noi non riconosciamo nessuna di queste legittimità territoriali e non siamo disponibili a batterci per nessuna di esse.

La storia ci dimostra che le guerre vengono tradizionalmente combattute per ostacolare l’azione delle classi sfruttate e dei ceti popolari per la propria emancipazione, per questo è importante che l’anarchismo si mobiliti ora contro la guerra, fuori e contro tutte le istituzioni militari. In primo luogo, la nostra forza sta nella circolazione delle idee e la difesa di spazi di produzione e circolazione del pensiero critico, promuovendo l’unificazione dei movimenti pacifisti e antimilitaristi in un fronte di lotta contro i governi. La capacità del movimento anarchico di mostrarsi coerente nella lotta contro la guerra è il modo per attivare le pratiche, l’organizzazione e gli ideali libertari fra le classi sfruttate e oppresse che sono le prime a subire le conseguenze delle guerre. Su queste basi sarà possibile un nuovo protagonismo che dia una soluzione diversa alla crisi, nella prospettiva di costruire una società libertaria.

Federazione Anarchica Italiana- FAI 

https://www.federazioneanarchica.org/

[Documento presentato al XXXI Congresso della Federazione Anarchica Italiana-FAI – Empoli Giugno 2022 e ratificato nelle settimane successive]

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