I funerali di Claudio si svolgeranno sabato 5 novembre al cimitero di Trieste dalle 11.30. Alle 13 ci sarà il momento dei ricordi e dei canti.
Il nostro compagno Claudio Venza, dopo 14 mesi di lotta in vari ospedali, ha deciso di voler tornare a casa, di salutare moglie e figlia e di lasciarsi andare.
Lo sapevamo già da tempo che sarebbe successo, già altre volte lo avevano dato per spacciato e ammettendolo, ci sembrava quasi di fiaccare questa sua indomabile resistenza.
Anche adesso, a qualche giorno dalla sua scomparsa, ci è difficile scrivere queste poche righe perché significa accettare di chiudere con lui, con un lungo periodo della nostra esistenza, con un lungo periodo di lotte assieme.
Ma bisogna farlo. Altri hanno già espresso il loro cordoglio con parole piene di sensibilità, accoramento, partecipazione.
Claudio era storico, era sessantottino, era bravo, era buono, generoso ma era soprattutto un anarchico. Cosa significa questo? Che il carattere era quello di una persona disponibile al dialogo, al confronto, alla solidarietà, ma anche che di fronte ai soprusi, alle prepotenze, alle imposizioni degli apparati e anche dei singoli non si faceva piegare. E non lo ha fatto nemmeno il primo maggio 2020 (già malato e molto a rischio) quando, con tutte le precauzioni del caso (mascherine, guanti, distanziamento) ha voluto distribuire il “Germinal” in una città quasi deserta e per questo motivo si è preso l’ultima multa per manifestazione non autorizzata in tempo di covid.
Claudio era nato nel 1946. Aveva, come molti, trascorso l’infanzia negli ambienti cattolici, ma i limiti e le imposizioni dogmatiche anche di tipo sessuale (durante una confessione il prete gli disse: “Siccome hai avuto desideri impuri, quest’estate non potrai andare al mare!!) lo avevano allontanato; arrivato all’Università aveva fiutato l’aria liberatrice del ‘68 ed erano iniziate le occupazioni, soprattutto quella di economia che ha raccontato in un suo libro. Allora però le lotte erano monopolio del Partito Comunista, che imponeva le sue idee. Ma per fortuna all’università giravano altre persone, meno irregimentate e le assemblee e le occupazioni permettevano un’ampia possibilità di comunicare le proprie idee.
Nello stesso periodo è avvenuto, frequentando gli ambienti del Circolo dell’Astrolabio e antimilitaristi, il cruciale incontro con Umberto Tommasini e da lì gli si è aperto un altro mondo di pensare, lottare, organizzarsi, autorganizzarsi. Il passo poi è stato breve e nel giro di un anno il II° piano di un appartamento in via Mazzini 11 è diventato il covo del vecchio gruppo Germinal (una decina di vecchi anarchici) e dei giovani libertari. Dal suo lungo terrazzo sono sventolate bandiere rosso/nere e nere e gli striscioni facevano sapere alla città cosa pensavano e volevano gli anarchici e le anarchiche.
Fu la prima sede al di fuori dei partiti con il primo ciclostile autofinanziato, la biblioteca anarchica, l’archivio storico, la vendita di libri e giornali, la possibilità di fare riunioni come e quando si voleva, ospitando collettivi studenteschi e operai. Migliaia di persone ci sono passate, migliaia di giovani lo hanno conosciuto e con lui e con noi hanno costruito percorsi di lotta.
Poi è arrivato il terrorismo di Stato: la strage di Milano, l’assassinio di Pinelli, le perquisizioni in cerca delle bombe, le denunce. Allora, senza pensarci tanto a Trieste tiravano fuori dal cassetto sempre una terna: Venza, Tommasini, Germani.
E se non c’erano loro c’erano i fascisti a picchiare e a voler distruggere la nostra sede, e se non erano i fasci c’erano i comunisti del PCI che aggredivano e ci impedivano di portare le nostre bandiere e i nostri giornali ai cortei.
Ma siamo sempre riusciti a andare avanti, a fare la nostra attività militante. Le marce antimilitariste, prima con i radicali, poi da soli, l’obiezione di coscienza, la solidarietà ai compagni soldati.
Nei primi anni ‘70 l’adesione al Gruppo Germinal e alla Federazione Anarchica Italiana. E l’apertura a un mondo di magnifici compagni e compagne.
Poi per Claudio c’è stata un’altra svolta: la possibilità di insegnare all’Università, non solo storia contemporanea, ma proprio storia della Spagna e della sua rivoluzione anarchica, l’occuparsi di storia orale.
Di nuovo tanti studenti, tanti contatti e l’aprirsi questa volta all’Europa e scrivere libri .
I contatti con compagni e compagne dell’Est che hanno portato nel 1990 al convegno “Est, laboratorio di libertà” con l’arrivo di centinaia di delegati dopo la caduta inattesa del muro di Berlino.
Fare questo elenco parzialissimo sembra facile, ma ogni iniziativa, ogni attività ha dovuto affrontare mille ostacoli, difficoltà, freni, anche da parte di qualcun* che adesso lo ricorda con affetto.
Un’altra esperienza determinante è stata quella di intervistare Umberto Tommasini e raccogliere e trasmettere le sue memorie. Un libro in dialetto triestino, una traduzione in italiano, una in castigliano, una in catalano, una in sloveno e proprio in questi ultimi mesi, dal letto di ospedale, una in greco.
A chi gli chiedeva perché in greco e non in inglese o francese, lingue più diffuse, rispondeva: “Perché lì gli anarchici lottano e le parole di Tommasini possono costituire un faro, un punto di riferimento”.
Intanto il suo cuore, verso la fine degli anni ‘90, aveva cominciato a dare i primi segni di cedimento.
Claudio, quando ci hanno sbattuto fuori da via Mazzini, per speculazioni edilizie non andate ancora a buon fine (la maledizione di Bakunin cacciato dalla stanza rosa aleggia su di voi), ha sostenuto lo sforzo collettivo di trovare e acquistare una nuova sede che ci ha portati in via del Bosco 52/a. Lì è rimasto sempre presente e propositivo, animando incontri e dibattiti. A volte le sue proposte non erano ben viste da alcuni del gruppo e viceversa, ma lui comunque le portava avanti anche da solo, con la consueta determinazione e testardaggine che lo hanno sempre contraddistinto (mite sì, ma mica sempre).
Aveva ripreso contatti con i vecchi sessantottini, smussando con alcuni spigoli molto acuti e animando l’esperienza di “Quelli del ‘68”.
Anche in ospedale faceva proselitismo fra dottori e infermieri, distribuiva “Germinal” o il caffè del Chiapas o le saponette di una fabbrica greca occupata e riconvertita dagli operai.
I compagni che andavano a trovarlo venivano tempestati di domande di tipo politico, visto che non riusciva a leggere e ad essere informato.
In aprile di quest’anno ha voluto comunque collaborare al “Germinal” n. 131, giornale di cui non era da poco più il direttore. Ha scritto la sua autobiografia fino al ‘92 su foglietti di carta con grafia tremolante.
Sappiamo che vorrà un funerale con tante bandiere e tante canzoni anarchiche. Sappiamo che vorrà una festa.
Sappiamo che mancherà a tanti e tante, che chi resta dovrà impegnarsi ancora di più a portare avanti le sue/nostre idee.
Ciao Claudio, continueremo a lottare portando il tuo sorriso nel cuore. Viva l’anarchia.
Le compagne ed i compagni del Gruppo Anarchico Germinal