Testo del volantino che abbiamo distribuito sabato al presidio “Say Their name”
Il fatto che ci si ritrovi in piazza oggi non solo per esprimere solidarietà alle manifestazioni negli Stati Uniti ma anche e soprattutto per parlare del razzismo strutturale e della violenza istituzionale presenti qui da noi pensiamo sia una cosa fondamentale. Detto questo ci pare importante portare comunque dei ragionamenti su quello che sta avvenendo dall’altra parte dell’oceano.
L’assassinio di George Floyd, mostrato per nove interminabili minuti di metodica violenza, è stato la scintilla che ha fatto saltare una polveriera sociale. Negli ultimi cinque anni la polizia ha ucciso circa ottomila persone negli Stati Uniti. Buona parte erano afroamericani e latinos.
Gli States sono una società profondamente segmentata, sia socialmente che spazialmente, una società dove la linea della povertà si sovrappone a quella del colore.
Nei ghetti la polizia agisce con enorme violenza. Pestaggi, soprusi, insulti e omicidi sono normali. Chi sta nei ghetti o nelle zone “grigie”, rischia la vita ad ogni incontro con gli uomini e le donne in divisa. Nei quartieri poveri le persone che vi sono confinate sono state duramente colpite dalla pandemia. Il numero dei morti è enorme tra le minoranze razzializzate del paese.
L’assistenza sanitaria è negata a chi non ha un’assicurazione: chi vive ai margini non ha ricevuto nessuna diagnosi e nessuna cura. L’elite bianca e ricca ha avuto accesso a prevenzione, ospedali e medicine negati ai poveri neri, asiatici, nativi, latinos.
Di fronte ai supermercati assaliti e saccheggiati, alle banche danneggiate, alle auto di lusso fatte a pezzi, ci sono persone prive di libertà e diritti. In primis quello alla vita.