La scomparsa di Umberto Tommasini ha messo i giovani del Germinal di fronte ad un’inevitabile rottura con un passato ricco di esperienza e di saggezza. Un modo per non restare del tutto “orfani” è stato quello di mettere in ordine le lunghe e affascinanti memorie orali di Umberto. Si sono svolte lunghe ricerche negli archivi, soprattutto a Roma, e nel giro di alcuni anni ha visto la luce un libro di più di 500 pagine che affronta molti problemi storici politici e etici di una militanza che iniziò nel 1909. Il libro fu presentato, nel maggio 1984, a un pubblico di più di 200 persone malgrado il boicottaggio del Circolo della Cultura e delle Arti che chiuse la porta del salone dopo averlo concesso un paio di settimane prima. Il libro di un anarchico non si poteva presentare nel tempio culturale della borghesia triestina democristiana e semisocialista! In compenso si distribuirono più di 500 copie nel giro di un paio di mesi, grazie anche allo scandalo suscitato dall’emarginazione di tipo oscurantista.
Le principali attività degli anni Ottanta ruotarono attorno ad uno strumento di grande rilievo cittadino: la Radio Onda Libera, poi Radio Libertaria. Ogni giorno era possibile ascoltare il punto di vista alternativo e antiautoritario grazie al lavoro miracoloso di un compagno esperto radiofonico che, novella divinità tecnologica, creò dal nulla le apparecchiature necessarie. Ancora una volta la sede ospitò riunioni di una trentina di collaboratori che si ripartirono gli impegni delle trasmissioni in diretta e delle centinaia di conferenze registrate e poi trasmesse. I pochi anarchici locali, quasi senza soldi e appoggi istituzionali (che d’altra parte rifiutavano per principio), erano in grado di aprire degli spazi di critica e di comunicazione che gli apparati di partiti di massa non riuscivano a realizzare né a far funzionare. Lo spazio radiofonico è durato per più di vent’anni, in barba alle difficoltà create dalla legge che avrebbe dovuto “mettere ordine” nell’etere.
Altri temi si presentano con una continuità notevole come l’antifascismo, in particolare all’Università dove si verifica un’aggressione a base di bastoni e di chiavi inglesi da parte di una squadraccia. La risposta è di fare subito un corteo di protesta e 1000 (mille!) studenti vanno in Viale a dimostrare che nessuna zona cittadina può permettersi di covare nostalgie e violenze nostalgiche. Particolare significativo: il corteo è aperto da una ventina di bandiere rossonere in mano al Collettivo Libertario Universitario attivo da alcuni anni nelle facoltà scientifiche. La repressione che, con il pretesto della lotta al “terrorismo”, finisce col cancellare il promettente movimento del ’77 trova una risposta costante nelle attività del Germinal e della sede. Qui si tengono assemblee sulla criminalizzazione di tre docenti triestini che, nei primi mesi del 1980, sono accusati di aver costituito una fantomatica banda armata in base alle dichiarazioni del pentito di turno e nella sede si organizza un incontro con il simbolo vivente della “Strage di Stato”, quel Pietro Valpreda che stava per essere schiacciato dalla montatura ordita dai servizi segreti e dai loro alleati neonazisti. Centinaia di cittadini possono rendersi finalmente conto delle conseguenze individuali della manovra diretta a stroncare, tramite Valpreda e gli anarchici, tutto il processo di rottura innestato dalle lotte studentesche del Sessantotto e operaie del Sessantanove.
E’ nel 1985 che la sede di via Mazzini si rivela come un punto organizzativo indispensabile per rispondere a livello pubblico alla brutale violenza dello Stato. L’8 marzo una squadra di poliziotti uccide a colpi di pistola, davanti alla sua casa di via Giulia 39, Pietro Greco, detto Pedro, un autonomo attivo a Padova che si era trasferito a Trieste per evitare le complicazioni della persecuzione poliziesca. Si dà corpo, nel giro di un paio di giorni, a un corteo cittadino che porta a sfilare quasi 500 persone in una giornata di pioggia per denunciare il fatto che “Il terrorismo è l’essenza dello Stato” come indica uno striscione nero preparato poche ore dopo. Attorno al gruppo si raccolgono spezzoni residui dei movimenti cittadini politicizzati che si erano dispersi da qualche anno, chi rifluendo nel privato e chi rinchiudendosi in minuscoli gruppetti di amici.
Da pochi giorni si era tenuta in sede una affollata manifestazione di solidarietà con i minatori inglesi, segmento di classe operaia industriale protagonista dei primi movimenti operai della storia. In quel frangente essi erano aggrediti dalla politica di smantellamento dei pozzi condotta dalla Thatcher nella sua corsa alla privatizzazione e alla eliminazione delle sacche di opposizione sociale. Si era proiettato un documentario di Ken Loach che richiamava con forza la necessità di schierarsi dalla parte dei minatori.
Il carbone era poi stranamente presente in un altro campo di intervento prolungato: la protesta contro la ventilata costruzione a Trieste di una centrale a carbone. I temi della crisi energetica e dei piani del capitalismo italiano si trovarono analizzati in profondità mentre il Collettivo Ecologia elaborava, ancora in sede, una mostra che venne portata in decine di occasioni pubbliche nei quartieri centrali e periferici. Tutto questo impegno contribuì a svegliare la città e dopo qualche mese varie forze politiche si pronunciarono contro la centrale a carbone e l’aria cittadina non dovette subire anche questa offesa.
Le frequenti riunioni del Collettivo Ecologia permisero di far conoscere meglio a Trieste quanto alcuni compagni friulani, in particolare di San Giorgio di Nogaro, avevano elaborato a proposito delle questioni ambientali. Il punto di riferimento teorico era il lavoro di Murray Bookchin che parlò all’Università a centinaia di studenti, docenti e cittadini presentando l’indissolubile legame tra sistema autoritario e inquinamento dilagante e irreversibile. Collegato all’impegno ecologista si sviluppa, ai primi del maggio 1986, una protesta cittadina per gli effetti distorsi dello scoppio della centrale nucleare di Chernobil. Dalla sede si mossero vari compagni per partecipare, e caso strano, guidare il corteo spontaneo di migliaia di persone che si diressero a presentare varie rivendicazioni, soprattutto a livello di informazione pubblica, in Prefettura.
Motivazioni ecologiche furono alla base della lotta contro la costruzione a Basovizza, sul Carso triestino, del Sincrotrone, enorme anello di cemento per un laboratorio di esperimenti sulla luce. Qui un dispotico Nobel, Carlo Rubbia, aveva scelto un bel posto per collocare il suo “giocattolo”, come amava definirlo. Non gli interessava distruggere un bosco di alberi centenari mentre a meno di due km. vi era una distesa libera e adatta all’insediamento. La locale comunità slovena, legata ancora in parte all’agricoltura, non voleva cedere questi terreni e si oppose con molte manifestazioni a cui parteciparono i compagni. Si tennero alcune riunioni in sede e si appoggiò la mobilitazione dei comitati spontanei popolari. Il braccio di ferro durò alcuni mesi e finì per la volontà dei vertici di alcune organizzazioni slovene in cui la sinistra collaborava con i politici cattolici conservatori. Questi dirigenti sloveni premettero sui piccoli proprietari recalcitranti in nome di un compromesso raggiunto: un conveniente prezzo di esproprio dei terreni. La lotta rifluì e i lavori di taglio degli alberi e di scavo iniziarono a spron battuto. Ora il Sincrotrone marcia a pieno regime e, come previsto, i suoi dirigenti hanno presentato progetti di ampliamento ai danni della natura circostante.
Negli anni Ottanta si radicò tra gli anarchici triestini un filone di impegno che dura tuttora: la solidarietà con i compagni della Jugoslavia. A Zagabria e a Belgrado, attorno agli ambienti culturali dissidenti dei filosofi e dei sociologi, erano maturate delle posizioni antiautoritarie che criticavano sia il regime titoista che le pulsioni nazionaliste nostalgiche. Si trattava dei gruppi definiti “anarcoliberali” dal Ministero degli Interni e considerati il pericolo n. 2 per l’ordine pubblico federale. Dalla sede uscirono proposte di incontri e convegni con questi docenti e studenti giovani e si riuscì perfino a farli partecipare al Primo Maggio triestino sia nel corteo che nella socializzazione successiva.
In via Mazzini si redasse un libretto contro il processo montatura agli intellettuali dissidenti, tenuto a Belgrado nel 1985, che si concluse con dure condanne per reati di opinione. L’opuscolo, con la documentazione dell’accusa e le posizioni dei dissidenti, fu edito insieme ad un Comitato per i diritti umani detto GarCos (Garanzie Costituzionali) costituito da avvocati e docenti milanesi. Si proseguì nel confronto teorico e politico e si rafforzarono gli stretti rapporti umani già avviati nel Convegno sull’Autogestione tenuto a Venezia nell’autunno 1979.