Harol Bloom: Il Canone Occidentale

Harold Bloom è un rotondo signore,
decisamente troppo dedito ai sigari e fisicamente non troppo ben
ridotto, al punto di non essere più in grado di lasciare la sua Yale
University, dove si guadagna da vivere grazie alla cattedra di
Discipline Classiche, per tornare a visitare l’Europa, il che a
quanto pare è uno dei suoi più grandi rimpianti.

Al di fuori dell’ambiente accademico
egli deve la propria fama principalmente a “Il Canone Occidentale:
i libri e le scuole delle età”: un testo che, dopo aver analizzato
nei primi capitoli quelli che a parere dell’Autore sono i principali
autori della tradizione eurocentrica, si lascia andare ad una
personalissima tirata, la “conclusione elegiaca” che ha fatto la
fortuna del libro ed in cui, uno dopo l’altro, egli individua i
colpevoli della generale decadenza degli studi letterari: gli studi
di genere, gli studi identitari, Focault, il femminismo, il marxismo,
la lotta di classe -“un fantasma mai visto in America”- e simili:
un coacervo definito collettivamente “la scuola del risentimento”
che vorrebbe obbligare gli studiosi (declinato al maschile?) ad
occuparsi di autori secondari e di scarso valore solo in quanto neri,
o femmine, o simili.

Il libro inoltre comprende in quasi
tutte le edizioni del mondo una lista di testi e autori che secondo
il Nostro sarebbe imprescindibile conoscere: per l’originalità di
quanto hanno scritto, per l’influenza sui posteri, e per l’intrinseca
potenza estetica della loro opera. Questi testi costituiscono il
Canone suddetto: si va dall’Epopea di Ghilgamesh ai giorni nostri
passando per quattro epoche: la Teocratica, l’Aristocratica, la
Democratica e la Caotica, che ovviamente è la nostra. I libri
all’interno della suddetta lista sono suddivisi per ambito
geografico-cultural-linguistico. Curiosamente, la lista più lunga di
opere canoniche è quella prodotta dall’età Caotica, a dispetto
della decadenza delle Lettere; anche l’elenco degli ambiti
cultural-linguistici è più numeroso, arrivando a comprendere
l’ambito Catalano ed altre micro-aree del genere, ed includendo
scrittori asiatici ed africani. Bloom si giustifica della
contraddizione tra decadenza e numero sostenendo che solo il futuro
potrà indicare le opere Immortali e separare il grano dal loglio: il
Canone infatti non è la scelta di un singolo critico ma uno
stratificarsi secolare di scelte compiute in qualche modo
collettivamente dai lettori, non si sa bene in base a quali criteri.

E’ da notare come la lista, che
costituisce probabilmente il secondo motivo di attrazione turistica
del libro, fu in realtà imposta dall’editore contro la volontà
dell’autore, e non è compresa nell’edizione italiana (si dice che
Bloom, perfetto conoscitore della lingua e letteratura italiana,
avesse dei contatti diretti con l’editore di queste parti e sia
riuscito a non farla includere: qualunque sia la verità, essa è
facilmente reperibile in rete).


Oltre all’ostilità nei confronti della
scuola del risentimento, il libro possiede altre notevoli
caratteristiche. La più evidente è la sviscerata, incontenibile
passione dell’Autore per Shakespeare, la cui centralità assoluta
all’interno del Canone stesso non è nemmeno giustificata, tanto
viene considerata evidente ed indiscutibile: una vera e propria
Shakespearolatria che, come tutte le fedi, deve essere accettata
senza discussioni e senza domande o non sarebbe più tale: gli altri
autori vengono tutti messi in confronto con il Sommo senza che venga
portata una sola argomentazione seria di questa scelta (ribadire
continuamente la centralità di un autore NON è considerata da noi
un’argomentazione seria). Il livello della critica letteraria
espressa, pur essendo decisamente notevole, non è ovunque eccelso, o
forse chi sta scrivendo non è riuscite a cogliere. Ciò è
probabilmente dovuto anche al fatto che non vi è, nel libro, la
benchè minima contestualizzazione storica (viene dato per scontato
che il lettore la possieda: dopotutto non si tratta di
un’antologia!), le citazioni esemplificative sono scarsissime, ed è
difficile separare le parti di critica letteraria in senso stretto
dai voli pindarici dell’autore.

Ma, soprattutto, è il concetto
stesso di Canone che appare difficoltoso: è possibile pensare che
esista una specie di lista metafisica (di cui quella fornita
dall’Autore non è che una incarnazione) in cui una sorta di
coscienza collettiva ha scelto di inserire degli autori basandosi
solo ed esclusivamente su motivazioni estetiche, senza curarsi di
motivazioni contingenti, di classe, di genere, e simili? Le canzoni
degli schiavi per potenza di immagini possono probabilmente stare
alla pari con alcune delle espressioni più alte della poesia
canonica, eppure non vi sono inserite. Le popolazioni che non
possiedono o non hanno accesso ad una struttura editoriale di
riproduzione e memorizzazione sono escluse dal canone: eppure tra
loro la presenza di narratori e inventori di storie è estremamente
più significativa che tra gli altri . (Questa banale osservazione
serve tra l’altro a rispondere alla domanda, posta da (Gore Vidal?) e
riportata dall’autore nell’Elegiaca: “Signora, dove sono gli Omero
degli Esquimesi?” Domanda che a chi scrive fa abbastanza affluire
il sangue alla testa). Per non parlare della secolare esclusione
femminile dai circuiti di produzione letteraria, che credo sia
innegabile per chiunque sia in buona fede.

Eppure tutte queste obiezioni non
appaiono scalfire e anzi nemmeno sfiorare il nucleo centrale del
libro in questione, che è un’opera potente, appassionata, la cui
lettura a mio parere fornisce spunti di riflessione estremamente
significativi. Nominare i processi di esclusione di questa o quella
categoria non inficia il discorso di fondo dell’autore, che è di
natura squisitamente pratica: abbiamo una sola vita a disposizione,
ed un’immensa quantità di letture possibli; come effettuare una
selezione? Una vita sola non basta neanche ad affrontare il solo
Canone…tantopiù che Bloom rivendica orgogliosamente la difficoltà
e la pesantezza degli studi umanistici, ingiustamente trasformati in
cugini poveri delle materie tecniche. Personalmente troviamo
affascinante leggere un critico che, in attimo di personalismo,
spiega di aver rifletuto per anni su un certo passo dell’Ulisse, o di
non essere riuscito a dormire di notte per intere settimane nel
tentativo di penetrare pochi versi della Divina Commedia. Certo,
un’attività del genere è riservata a pochi fortunati (o
privilegiati?), ed il Nostro è sicuramente un elitario supponente,
estremamente conscio della propria intelligenza. Bloom non sostiene
in alcun punto che donne, o neri, o esquimesi siano incapaci di
scrivere: semplicemente sostiene che la questione della loro
esclusione non riguarda gli studi letterari, bensì quelli storici, o
sociali, politici, economici o financo etici. Scopo della
letteratura, a parere del Nostro, è l’analisi della condizione
umana, il tentativo di comprendere e far propria una piccola parte
del caos che costituisce l’esistente, gettare un filo di luce in
qualche angolo che nessuno ha ancora visto, e possibilmente nel farlo
creare qualcosa di bello, che possa dare piacere a chi l’incontra e
lasciare un segno duraturo per la posterità. La letteratura non
serve a dare degli esempi di buon comportamento, nè a dipingere la
società come dovrebbe essere: quando questo accade, aggiungiamo noi,
si ha il realismo socialista o i libri delle biblioteche
parrocchiali. Come egli dice esplicitamente, non c’è posto peggiore
dei grandi poemi o romanzi per imparare ad essere bravi cittadini,
utili alla società ed al suo progresso: partendo da Omero e fino ai
giorni nostri, i personaggi letterari sono in gran maggioranza dei
soggetti poco raccomandabili e ancor meno affidabili: soldati,
crapuloni, assassini, lussuriosi, depressi, pedofili, giocatori
d’azzardo, timidi patologici, arrivisti, puttanieri, falliti,
usurai…

Il tentativo- che probabilmente nelle
università statunitensi è molto più prepotente che da noi- di
ricondurre le analisi di questi testi ad analisi sociologiche non
farebbe che togliere senso all’operazione stessa di leggere. Il
proliferare all’interno delle facoltà di lettere di black studies,
women’s studies, native americans? studies e simili (in cui gli
autori vengono studiati solo in quanto appartenenti ad una
determinata categoria e non in quanto validi in sè), la riduzione
del numero di cattedre di studi classici, la riduzione della mole di
materiale nei singoli insegnamenti, l’apparizione di cattedre di
hip-hop, vengono visti fatalisticamente come segni di un processo di
irreversibile decadenza dell’istituzione universitaria che non
porterà, secondo l’Autore, ad una sparizione del Canone ma solo alla
perdita dell’importanza delle università stesse come fonte e
serbatoio di conoscenza. Nel suo pessimismo da vecchio dinosauro, di
fronte ad un mondo che non capisce, che non gli appartiene ed in cui
ciò che è veloce, superficiale e mutevole sembra aver sconfitto
definitivamente ciò che è stabile, profondo ed eterno (ma perchè i
conservatori ragionano sempre in questi termini???), egli riesce a
trovare uno sprazzo di speranza all’idea che una pur miserevole
comunità di lettori continuerà comunque ad esistere, e che il tempo
seppellirà l’immondizia prodotta dall’industria editoriale e tutto
ciò che è privo di valore intrinseco, lasciando qualche nuova
pagliuzza d’oro sul fondo del setaccio.


In che modo tutto ciò ha a che fare
con noi?

Innanzitutto conoscere il nemico è
fondamentale: e Bloom è un conservatore di grande intelligenza, la
cui parola non può essere liquidata come semplice paccottaglia
politica. Stavamo per scrivere che bisogna abituarsi ad avere degli
sparring partners del suo livello per non cadere nella
superficialità, ma già questo è un indice di un atteggiamento
supponente. Bisogna piuttosto a nostro parere imparare a trovare
ovunque pezzi di verità, perfino negli scritti del conservatore di
turno, e semi di dubbio che ci permettano di dare una scalpellata
alle nostre più salde convinzioni. In generale il movimento
anticapitalista è ricco di intelligenze acute in grado di effettuare
per sè quest’operazione, ma alquanto incapace di operare
elaborazioni del genere a livello collettivo. Troppo attenti a quello
che dovrebbe essere anzichè a quello che è, produciamo spesso e
volentieri stampa prevedibile, documenti prevedibili, volantini
prevedibili, e il tutto terribilmente privo di valore estetico.
Diciamo forse cose che nessun altro dice, e forse è importante che
tutto ciò esista: ma poichè ce li leggiamo tra di noi a volte viene
da chiedersi: il gioco vale la candela? Non sarebbe forse importante
abituarsi a guardare il drago negli occhi, e ammettere che non solo è
forte ma bello, e possiede qualcosa che a noi manca? O abbiamo paura
di risultarne indeboliti?

Ci è capitato di leggere una
recensione di “Gran Torino”, l’ultimo film di Clint Eastwood, che
lo stroncava in quanto razzista e maschilista. A nostro parere, anche
se questa diagnosi fosse esatta non sarebbe di alcuna rilevanza. Si
tratta di un gran film, la cui forza sta nell’essere un ritratto
complesso e sfaccettato di una piccola porzione di realtà: un ex
soldato che vive in un quartiere degradato popolato da immigrati, e
si fa carico della virilizzazione di uno di essi insegnandogli come
si cura un’automobile e come si conquista una ragazza. Politicamente
corretto? Certo che no. Razzista? Non crediamo. Ma complesso, pieno
di domande, foriero di dubbi per chi lo guarda da destra e per chi lo
guarda da sinistra, e privo di risposte precise: esattamente come la
condizione umana. E con un Clint Eastwood bello da far venire le
bave.

Ma tutta la sua complessità è
accessibile solo a chi lo prende per quello che è, un’opera d’arte,
e vi si abbandona con atteggiamento di stupore. La riflessione verrà
dopo, forse, o in altra sede, ma sarà fruttuosa solo a partire da
queste basi di contemplazione priva di pregiudizi. Non sappiamo se
fosse questo ciò che Bloom intendeva dirci, ma questo è ciò che
noi vi abbiamo letto. Buonasera.


P.s.: Non riusciamo ad esimerci dal
far notare con gioia che tra gli autori canonici dell’Età Caotica vi
è anche la zia Ursula, dai più conosciuta come Ursula K. Le Guin,
con quello che è probabilmente il suo capolavoro: “La mano
sinistra delle tenebre”. Anarchica borghese, femminista, taoista,
somma tra gli scrittori di fantascienza per la sua profondità e
complessità, la sua presenza in lista sta a testimoniare l’onestà
di zio Harold nel compilare il Canone solo in base a criteri
estetici. Sia lode ad entrambi.

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